Il cibo è un bene non un qualcosa di occasionale o di celebrativo.
Il cibo è un diritto non una opzione.
Il cibo è il processo di evoluzione dell’uomo
Se pensiamo al cibo abbiamo subito un collegamento con piatti succulenti o ciò che a noi piace, che ci fa venire l’acquolina in bocca.
Ma il cibo è un discorso molto ampio che non si esaurisce solo sulla tavola, ma una realtà molto variegata complessa di produzione gestione e controllo, ma per fortuna anche di evoluzione e di comprensione responsabilità e consapevolezza.
Nel corso della evoluzione umana il cibo ha rappresentato elemento di riferimento sia nell’arte che nelle corti che tra i più bassi ceti.
Infatti l’obiettivo di una società rurale era quello di assicurarsi la sopravvivenza: il ciclo umano ‘nascita, riproduzione, morte’ veniva assolto come esempio di appartenenza a una natura regolata da leggi che funzionano allo stesso modo per uomini, animali e piante.
Infatti, i ritmi del ciclo vegetativo – semina, crescita, raccolto – non si potevano alterare, così come per l’uomo la successione delle diverse fasi della vita richiede un eros che produce frutto.
Questa visione della natura terrena veniva intesa come elemento di sussistenza e di conservazione della specie, ma nel divenire storico con la nascita della società industriale e del concetto di produzione questa visione si modificò strada facendo.
Lo scopo della produzione era perseguire il fine del surplus per mezzo di plusvalenza che nella successiva post rivoluzione del capitale finanziario avrebbe prodotto la rendita finanziaria necessaria per la riproduzione del capitale e non dei beni.
No.. non desidero fare un intervento economico e tantomeno barboso…. Era un modo per dire che il cibo oggi è un valore che intrinsecamente esprime capitale e non bene primario e necessario come avveniva nelle precedenti società rurali e pre- industriali.
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Cosa vuol dire tutto questo?
Oggi nell’era delle grandi trasformazioni e della nuova necessaria visione del mondo si ripropone anche un approccio diverso al cibo, sebbene milioni di tonnellate di cibo viene buttato via letteralmente, il cibo che basterebbe a sfamare 11% della popolazione mondiale pari a ca 800 milioni di persone (dati del 2017) .
«Il terreno dello spreco è il primo terreno da arare» ha detto Carlo Petrini, presidente di Slow Food, durante il G7 dell’agricoltura a Bergamo (2017) «Siamo arrivati a percentuali insostenibili e prima di pensare all’aumento di produzione bisognerebbe pensare a metodi per ridurre la quantità di cibo buttato via».
I dati di questo fenomeno sono preoccupanti: secondo la Fao sono 3,9 miliardi le tonnellate di cibo prodotte ogni anno nel mondo. Di queste 1,3 vengono sprecate, ovvero 4 volte la quantità di cibo necessaria a sfamare 795 milioni di persone denutrite nel mondo.
Siamo sicuri che sia necessario continuare ad aumentare le rese, o possiamo davvero rivedere i nostri modelli produttivi?
Lo spreco alimentare
L’impatto dello spreco alimentare non è solo sociale, ma anche economico e ambientale. Insieme al prodotto alimentare vengono sprecate le risorse utilizzate per produrlo. Rimanendo in Italia, la ricerca stima in 13 milioni di tonnellate di Co2 l’anno l’impronta ambientale del cibo eliminato.
Il costo economico ammonta a circa 13 miliardi di euro, circa 210 euro a persona l’anno. Naturalmente il primo nell’ordine delle criticità rimane l’impatto sociale, perché è cibo che non viene utilizzato per il suo scopo primario quando allo stesso tempo c’è una parte rilevante di popolazione in stato di “povertà assoluta”: parliamo, in numeri, di 1,5 milioni di famiglie.
L’impatto sociale è indubbiamente importante ma esistono altri punti di vista con cui potremo vedere questa situazione.
Sicuramente la mancanza di cibo per milioni di persone ha un risvolto Etico e di Soppravvivenza, ma anche spirituale molto evidente per chi sa guardare.
Perché esistono modelli di sfruttamento?
La comprensione dello sviluppo del cuore non è ancora mondialmente radicata. Nuovi paradigmi si affacciano sulla scena e la direzione di nuovi modelli si intravvedono.
Io sono il presidente di una associazione che si occupa da anni di approcci e metodi del benessere e della vitalità, e vedo molta gente che nella richiesta di aiuto manifesta il disagio in modo sempre più pressante.
Il disagio nel fisico, il disagio nella sfera emozionale e mentale è la riflessione di una discrepanza tra ciò che si vive e ciò che si vorrebbe vivere è parte essa stessa di una presa di consapevolezza crescente.
Ora il cibo è all’attenzione di molte persone, addirittura da un po’ di anni ci fanno ricchi programmi televisivi e questo non può che giovare alla definizione di un approccio più misurato individuale e sociale.
A Torino in Settembre ormai da anni si tiene una manifestazione chiamata “Terra Madre” che è la rete delle comunità del cibo che promuovono in tutto il mondo, una nuova gastronomia fondata sulla tutela della biodiversità e sul rispetto dell’ambiente e delle culture locali.
La riflessione “del cibo per il corpo e del cibo per l’anima” parte quindi da una riflessione sociale, ma dietro c’è lo sforzo di cambiare anche il rapporto non solo con il cibo ma anche con altri componenti dell’intero ciclo produttivo.
Se questo movimento ha portato a questo primo risultato allora come non considerare il grande risveglio “spirituale” che dalla fine degli anni 90 ha investito il mondo intero.
Il livello di consapevolezza è cresciuto e non solo quello sociale, ma anche quello individuale, come dicevo il malessere oggi è collegato alle condizioni di vita e di pensiero, molto ma molto più di anni addietro.
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Cosa possiamo fare
Pensare anche che la nostra sensibilità parte da una conoscenza di noi stessi più profonda, da un nutrimento fatto di emozioni e pensieri ed azioni che non inquinano e non intaccano il modo etico e rispettoso del vivere.
Spiritualità non è essere lontani ed occuparsi solo ed esclusivamente di “mondi lontani”, ma vuol dire occuparsi di come i mondi di ognuno possono interagire con il mondo più grande del genere umano e in ultima analisi di come il mondo umano può concepire l’aspetto divino di questo mondo.
Vedere il mondo come strumento di realizzazione dell’uomo in quanto essere divino; non è una etichetta religiosa. Ma una profonda religiosità che appare nella conoscenza del sé e della capacità di non anteporre il solo ed unico sé alla visione del mondo.
Ecco il significato di “cibo per l’anima”. Nutrire , con profondo rispetto la nostra essenza di luce andando oltre la diffidenza e la sorniona tolleranza e sufficienza verso il lavoro di scoperta e di pratica continua di coloro che di luce han bisogno di nutrirsi.
Quello che la nostra bocca introduce materialmente non è dissimile dal nostro modo di vedere il cibo e se la nostra pratica è retta allora anche il cibo che normalmente ingeriamo è e diventerà luce.
Il cibo per l’anima è dato dalla materialità dall’emozione e dal pensiero, il cibo per lo spirito è dato dalla sua trasformazione in luce come alimento.
Le nostre azioni sono espressione diretta della luce che illumina il nostro cuore ed il nostro cammino.
Molti problemi alimentari possono essere la conseguenza di un’esistenza non realizzata pienamente, carente sotto il profilo spirituale, priva d’una soddisfacente relazione con l’infinito nella propria interiorità.
Articolo di Giuseppe Fratto
presidente dell’Associazione Pranic Healing
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